La storia che sa di Roma: dalle mani dei vaccinari alle nostre tavole
Ah, la coda alla vaccinara! Se c’è un piatto che racconta Roma meglio di mille guide turistiche, è proprio questo. Non è solo una ricetta, è una storia d’amore tra la creatività popolare e la necessità di non buttare via niente. E noi, qui nel nostro angolo di romanità a Medicina, ve la raccontiamo come si deve!
«Sò tutte magna code e ssò carine»: le origini al rione Regola
Tutto inizia al rione Regola, dove un tempo vivevano i lavoratori del mattatoio Flaminio. Questi “vaccinari” (così se chiamavano i macellai dell’epoca) non se facevano pagà solo in soldi, ma anche co’ le parti meno nobili delle bestie: teste, code, lingue, cervelli… Insomma, tutto quello che oggi chiamiamo affettuosamente “quinto quarto”.
Come ce recita il vecchio stornello popolare:
Sò tutte magna code e ssò carine
Sò tutte magna code e ssò galante
E già qui capite che a Roma anche i piatti più umili li famo diventà poesia!
Il grande trasferimento: quando Roma si spostò al Testaccio
Con l’aumentà della popolazione romana il mattatoio si trasferì al Testaccio, in un posto davvero particolare. Sapete cos’è Monte Testaccio? Un colle artificiale fatto tutto de cocci! Eh sì, avete sentito bene. Gli antichi romani, dopo aver scaricato vino, olio e granaglie dalle anfore al porto fluviale, buttavano i “testa” (i cocci) sempre nello stesso posto. Daje e daje, se formò una collina alta 70 metri con un diametro di 800!
Il bello è che tutti ‘sti cocci hanno creato anfratti naturali perfetti per conservare er vino al fresco. Una cantina naturale gigante! (Se non ve ricordate de ‘sto quartiere magico, date un’occhiata al nostro articolo dedicato al Testaccio.)
L’invenzione di Ferminia: quando il quinto quarto diventa arte
Eccoce che arrivamo al dunque! Nel nuovo mattatoio del Testaccio aprirono una cinquantina de taverne e tra queste c’era l’osteria dei Mariani. La coppia, mica scema, aveva capito una cosa: nessuno a casa aveva il modo (o sapeva come) per pulire e cucinare quelle parti di carne così complicate. Loro, invece, ci si specializzarono.
Ma la vera genialata fu de Ferminia, la figlia, che dal 1887 perfezionò la ricetta aggiungendo ingredienti che sembrano usciti da un sogno: uvetta, pinoli, sedano e… cacao amaro! Sì, avete letto bene. E poi c’ha messo anche i “gaffi” (le guance del bue) per dare quella morbidezza unica che ve se squaja in bocca! Il figlio Francesco, soprannominato Checchino, continuò la tradizione e negli anni ’30 il locale cominciò pure a esse frequentato dalla Roma bene (e oggi è ancora aperto e fa ancora la Coda alla vaccinara!).
La coda alla vaccinara: un piatto, due anime
Ecco la magia della coda alla vaccinara: è un piatto con una doppia personalità. Da una parte nasce povero, dal bisogno de non sprecà niente. Dall’altra è ‘na vera bomba di sapori, capace di far piangere di gioia anche il buongustaio più raffinato.
Come scriveva il poeta romanesco Augusto Jandolo nel 1933:
Coda a la vaccinara pietanza quasi classica, gustosa, forte e rara
E c’aveva proprio ragione!
Perché venire a provare la coda alla vaccinara da noi?
Ora, ve chiederete: “Ma la ricetta completa?”
Ehhhh, bella domanda! Diciamo che alcuni segreti è meglio tenerli in famiglia… o meglio, in cucina! Se volete assaporare la vera coda alla vaccinara, quella fatta come si deve e con tutti gli ingredienti segreti che rendono questo piatto unico, sapete dove trovarci.
Perché una cosa è leggere la ricetta, un’altra è respirare quel profumo che sprigiona la cucina, sentire quella coda che si scioglie in bocca, assaporare l’equilibrio perfetto tra dolce e salato che solo chi la fa da una vita sa raggiungere.
Ogni porzione di coda alla vaccinara che esce dalla nostra cucina è un pezzo de storia, un omaggio a quella Roma autentica che sa trasformà l’umiltà in grandezza. Allora, che fate? Venite ad assaggià un pezzo di storia romana?
La coda alla vaccinara vi aspetta (e pure noi)!
Staff de A La Romana
Nel frattempo leggeteve pure l’ultimo articolo sulla porchetta romana!